Il Cremlino a Mosca [crediti foto: Dondelord via Pixabay]*

Il futuro della Russia passa dal Mar Mediterraneo

Articolo pubblicato per Orizzonti Politici

Al centro dei più importanti sviluppi geopolitici mondiali, la Russia si trova di fronte alla necessità di consolidare le proprie posizioni nel bacino del Mediterraneo e nel Mar Nero, proseguendo sulla strada del rafforzamento della sua sfera di influenza nei Paesi che la circondano. Mosca è infatti chiamata a decidere quale sia il ruolo che intende ricoprire negli anni a venire. Al contempo però, le sfide principali sembrano provenire dal fronte interno; il caso Navalny ha fortificato l’opposizione, mentre la pandemia ha accentuato i sintomi di una recessione economica che non sembra avere soluzioni.

Un uomo solo al comando

Venti e più anni di dominio e potere incontrastato hanno fatto in modo che l’immagine della Russia si identificasse ormai in quella del suo Presidente. Putin rappresenta infatti l’anima della Russia del XXI secolo. Tuttavia, da tempo si è cominciato a parlare di cosa succederà quando l’inquilino del Cremlino si farà da parte. La successione al potere è motivo di preoccupazione per l’establishment russo. Il timore è che quando Putin non sarà più in carica, gli interessi personali conflittuali che dominano i circoli di potere, dall’esercito agli oligarchi, gettino il Paese nel caos.

Il caso Navalny e la reazione della UE

Con l’economia già a pezzi, anche a causa delle sanzioni internazionali che sono seguite all’annessione della Crimea nel 2014, gli strascichi derivanti dagli effetti della pandemia del Covid-19 rischiano di avere un peso devastante sugli equilibri interni. Putin ha dimostrato di non tollerare facilmente le opposizioni, usando il pugno duro verso le voci più critiche. Dall’assassinio di Boris Nemtsov nel 2015 al tentato avvelenamento di Aleksej Navalny lo scorso agosto, è lunga la lista degli omicidi e “silenziamenti” delle figure più carismatiche dell’opposizione.

Tuttavia, lo sdegno della comunità internazionale verso l’ennesimo tentativo di repressione del dissenso è stato accompagnato dallo scoppio di feroci proteste in tutto il Paese. Al momento del suo rientro in patria, Navalny è stato arrestato e condannato a due anni e mezzo di carcere tramite un processo farsa. Trasferitovi nella più totale segretezza, Navalny è ad oggi rinchiuso nella colonia detentiva IK-2 di Prokov, dalla quale lamenta di non ricevere le cure di cui necessita, oltre a subire soprusi da parte delle autorità.

A nulla sembra essere servita la decisione dell’Ue, nello scorso febbraio, di inviare a Mosca Josep Borrell, l’Alto rappresentante per gli affari esteri, per chiedere la scarcerazione immediata dell’oppositore. L’approccio di Bruxelles si è rivelato fin qui troppo morbido, e lo stesso Borrell ha invocato a gran voce una reazione decisa e determinata da parte dell’Unione.

Il nodo delle sanzioni economiche 

L’atteggiamento di intransigenza di Bruxelles per quanto riguarda la questione del rispetto dei diritti umani si scontra infatti con il fatto che la Russia, ad oggi, rimanga uno dei principali partner dell’Unione per il rifornimento di idrocarburi. Nonostante gli sforzi condotti negli ultimi tempi, Mosca fornisce ai Paesi europei circa il 40% del gas e il 30% del petrolio totale.

Tiene banco inoltre la questione del Nord Stream 2, il gasdotto che dovrebbe affiancare il già esistente Nord Stream 1 nel Mar Baltico. La messa a punto del progetto raddoppierebbe la capacità di esportazione di gas dalla Russia direttamente in Germania. Il gasdotto, che lega a doppio filo gli interessi di Berlino e Mosca, è al centro di una querelle internazionale che oppone i tedeschi agli altri alleati NATO.

È evidente dunque come, nell’eventualità di sanzioni più dure applicate da Bruxelles, la possibile contromossa di Mosca di bloccare le esportazioni di idrocarburi verso l’Unione finirebbe per danneggiare fortemente le economie europee.

Putin si trova dunque in una posizione privilegiata. Nonostante le continue critiche e minacce da parte delle cancellerie d’Europa, il Cremlino è ben consapevole del fatto che Bruxelles non punterà mai a uno strappo definitivo. 

Il nuovo, decisivo, ruolo internazionale della Russia

L’Unione europea ha inoltre la necessità di mantenere aperto un canale di dialogo con la Russia putiniana. Il Cremlino gioca infatti un ruolo sempre più preminente in quello che è considerato il giardino di casa degli alleati europei: il bacino del Mediterraneo allargato. Il graduale disimpegno americano dalla regione ha permesso alla Russia di tornare ad avere un forte peso internazionale, assumendo una dimensione geopolitica simile a quella sovietica negli anni segnati dalla Guerra Fredda. 

Ad oggi, Mosca si ritrova attore protagonista in molti degli scenari più critici del continente; dalla Libia alla Siria, dal Caucaso meridionale alle tensione nei Paesi dell’Europa orientale.

Una presenza così diffusa e strutturalmente articolata in vari contesti internazionali è il frutto di una strategia che punta alla creazione di un cordone di sicurezza attorno ai confini della Federazione russa. Mosca persegue la strada che porta a far tornare in auge i tempi dell’internazionalismo sovietico, dove i Paesi del Patto di Varsavia giocavano un ruolo determinante nella geopolitica globale. Ma è evidente come Putin, preoccupato da un eventuale ridimensionamento del consenso popolare a causa del protrarsi della crisi economica, cerchi di giocare d’anticipo sulla scena internazionale, evitando di scoprire il fianco ai rivali della NATO. Ad oggi infatti, l’alleanza atlantica rappresenta il pericolo principale per la sicurezza della Federazione, essendo arrivata ad espandersi in praticamente tutti i territori una volta sotto lo stretto controllo di Mosca: dal Mar Baltico al Mar Nero, passando per l’Europa orientale.

La sicurezza passa dai porti “in acque calde”

Il sostegno più o meno diretto degli USA e dei loro alleati ai movimenti di protesta anti-Assad in Siria e anti-Janukovyč in Ucraina hanno messo Mosca davanti alla possibilità di ritrovarsi, in pochissimo tempo, in una situazione in cui regimi filo-occidentali avrebbero sostituito i suoi alleati storici. Le conseguenze, da un punto di vista militare ed economico, si prospettavano drammatiche. Le basi militari russe in Siria ed Ucraina rappresentano un fattore di forte deterrenza al cospetto del continuo allargamento della NATO.

Per Mosca, il Mar Nero rappresenta in tutto e per tutto un’estensione del Mar Mediterraneo. Fino a qualche decennio fa, queste acque erano sotto lo stretto controllo del Patto di Varsavia. Ad oggi invece, Romania e Bulgaria sono membri della NATO; stesso discorso vale per la Turchia, con cui Putin ha però un rapporto a corrente alternata. È evidente come il controllo e la messa al sicuro di quest’area rappresentino una questione di sicurezza nazionale. Si tratta dell’unica via d’accesso che Mosca ha al Mare Nostrum; uno sbocco vitale non solo per i commerci, ma anche per il passaggio di navi militari. Sul fondale scorre poi il TurkStream, il gasdotto che rifornisce la Turchia del gas estratto in Russia, tra i più importanti per il sostentamento del fabbisogno energetico europeo.

Dalla prospettiva russa dunque, l’annessione della Crimea rappresenterebbe la risposta di Mosca a quella che è stata considerata come l’ennesima interferenza occidentale nel proprio giardino di casa. Oggi, la Crimea è stata trasformata in una “fortezza” inespugnabile. Le coste della penisola segnano l’accesso al Mar d’Azov, e il porto di Sebastopoli è il centro di un’armata con potenza di fuoco straordinaria. Il Cremlino ha intrapreso un programma di riarmo nella regione a lungo periodo, con la creazione di una zona A2/AD (anti-access/area-denial), facendo della Crimea il primo avamposto di sicurezza per i confini della Federazione.

L’intervento in Siria e le basi sul Mediterraneo 

Questa dinamica può essere osservata anche nel supporto, diplomatico prima e militare poi, fornito alla Siria. L’ipotetica caduta del regime guidato da Bashar al-Assad, e la contemporanea ascesa di un governo filo-americano, avrebbe costretto a una ridefinizione dell’utilizzo delle basi militari Tartus e Latakia, in mano a Mosca dagli anni ‘70. La sopravvivenza del governo baathista è di cruciale importanza per il mantenimento di un avamposto russo nel Mediterraneo. La “campagna di Damasco” ha permesso alla Russia non solo di garantire la continuità al potere di Assad, ma di aumentare ed estendere il controllo nel Mediterraneo orientale. Grazie ai nuovi accordi, Mosca avrà la possibilità di allargare e modernizzare le basi in territorio siriano, in modo da renderle simili alla fortezza di Crimea.

La difesa dei propri interessi e della sicurezza nazionale passa per forza dal rafforzamento della presenza nei mari caldi, un trampolino di lancio per la conquista di una sfera di influenza che si estenda verso l’intero Mediterraneo.

 

Milanese, nato nel 1998. Analista appassionato di politica e Medio-Oriente, ho studiato alla St Andrews University nel Regno Unito le dinamiche geopolitiche mediorientali, caucasiche e dell'Asia centrale. Il primo libro che mi hanno regalato a cinque anni era una raccolta delle bandiere del mondo e, dopo averle imparate tutte, ho capito che per essere felice ho bisogno di esplorare. Nutro una passione sfrenata per le rivoluzioni e amo raccontarle.

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