A seguito del disfacimento dell’Urss, la Russia è stata in grado di sfruttare a proprio vantaggio l’esplosione delle tensioni regionali, garantendosi un ruolo preminente per quello che riguarda la mediazione tra gli attori in causa e la protezione dei propri interessi. Nel Caucaso, il Cremlino punta al mantenimento dello status quo, intervenendo chirurgicamente quando necessario. Questo è avvenuto in Georgia nel 2008, quando il presidente Saakashvili aveva dichiarato di voler portare il Paese nell’orbita della Nato, così come nel corso del conflitto tra Armenia ed Azerbaigian. Se in Georgia si è trattato di un intervento militare, nel Nagorno-Karabakh la Russia si è imposta come mediatore diplomatico, portando alla firma di un cessate il fuoco. L’elemento comune che ha guidato gli interventi russi è stata la volontà di mantenere inalterata la propria centralità regionale a fronte diingerenze straniere, americane in Georgia e turche in Azerbaigian. Tra settembre e novembre 2020, l’ormai quasi trentennale conflitto tra Armenia ed Azerbaigian ha assunto una nuova dimensione, cambiando definitivamente gli equilibri regionali risalenti alla firma di un cessate il fuoco del 1994. Il conflitto, che si è protratto per quasi cinquanta giorni, è stato caratterizzato dall’avanzata azera all’interno dei territori della Repubblica di Artsakh, l’entità parastatale armena nel Nagorno-Karabakh. La fine delle ostilità, mediata dall’intervento russo, ha permesso all’Azerbaigian di uscire fortemente rafforzato dallo scontro, sia da un punto di vista militare che territoriale. Baku ha infatti mantenuto il controllo dei territori conquistati durante l’avanzata, insieme alla riconsegna, da parte dell’esercito armeno, di sette distretti occupati nel corso del conflitto degli anni ‘90. L’accordo ridimensiona inoltre i confini della Repubblica di Artsakh e garantisce al governo di Baku la possibilità di costruire un collegamento stradale che connetta il territorio azero con l’exclave di Naxçivan. La tregua, per cui si è speso in prima persona il presidente russo Vladimir Putin, assegna ai berretti verdi del Cremlino il ruolo di peacekeeper nell’area, a garanzia degli accordi di pace.
La vittoria militare azera rappresenta un vero e proprio cambiamento dello status quo regionale, e le motivazioni vanno ricercate nei cambiamenti che hanno caratterizzato entrambi i Paesi dalla firma degli accordi del 1994. Ilham Aliyev, presidente azero succeduto a suo padre Gaydar, ha dichiarato in occasione della parata della vittoria:
«Abbiamo accresciuto la nostra forza negli ultimi anni, potenziato l’economia, accresciuto il nostro ruolo nell’arena internazionale (…) L’Azerbaigian ha sostenuto un grande sviluppo negli anni recenti e, passo dopo passo, la nostra superiorità si è manifestata in maniera sempre più evidente».
Le parole di Aliyev dicono molto di quanto sia cambiato l’Azerbaigian negli ultimi venticinque anni. Lo sfruttamento delle risorse di gas naturale, di cui il Paese abbonda, ha permesso il rilancio dell’economia nazionale e, soprattutto, la creazione di un esercito moderno dotato di un arsenale all’avanguardia. Nel corso del recente conflitto infatti, l’Azerbaigian ha potuto contare su una serie di armamenti di moderna generazione, contro il quale poco ha potuto l’esercito armeno, ancora dotato di armi dell’era sovietica. Il fattore decisivo si è dimostrato essere l’utilizzo dei droni da combattimento, di provenienza turca e israeliana, grazie ai quali Baku ha potuto ottenere rapide conquiste. Il giorno della parata per la vittoria tra le strade di Baku, al fianco di Aliyev era presente anche Recep Tayyip Erdogan, ringraziato per aver dimostrato la sua vicinanza e il suo sostegno alla causa azerbaigiana sin dallo scoppio del conflitto. I due Paesi, entrambi turcofoni, si considerano parte della stessa nazione, accumunati dall’inimicizia nei confronti dell’Armenia. Per la Turchia, il conflitto che ha opposto Baku ad Erevan rappresentava una vetrina importante. Da un lato, le posizioni filo-azerbaigiane rappresentano un elemento di notevole attrazione per l’elettorato conservatore di Erdogan, da sempre attento alla questione armena. Dall’altro, il conflitto ha permesso la messa all’opera dei droni prodotti dalle aziende militari hi-tech turche, in un momento in cui il settore è in forte espansione e Ankara si candida al ruolo di leader produttore in Africa e Medio Oriente.
In Armenia invece, la sconfitta e la conseguente perdita dei territori occupati rappresenta una ferita nazionale. La retorica nazionalista ruotante attorno alla questione dell’Artsakh ha condizionato la politica armena degli ultimi trent’anni, motivo per cui la popolazione ha accolto la firma del cessate il fuoco come un tradimento. Nikol Pashinyan, eletto primo ministro in seguito alla “rivoluzione di velluto” del 2015, è riuscito a sopravvivere a un tentativo di colpo di stato da parte dell’esercito e si è candidato alle elezioni in programma per il prossimo 20 giugno. Tuttavia, la sconfitta militare non sarà facilmente superabile. L’esercito armeno è apparso completamente impreparato a fronteggiare le truppe di Baku, perdendo facilmente il controllo delle posizioni occupate. Gli stretti legami politici, commerciali e militari che legano Erevan con la Russia, esiste tra i due Stati anche un trattato di cooperazione militare (il Ctso), hanno portato gli armeni a credere che mai il Cremlino avrebbe permesso un ridimensionamento del loro controllo sui territori del Nagorno-Karabakh e dintorni. Tuttavia, la «rivoluzione di velluto» del 2015 e la conseguente elezione di Nikol Pashinyan ha quantomeno alterato i rapporti con Mosca. Eletto grazie a una piattaforma politica innovativa, democratica e critica nei confronti del sistema politico precedente, dominato dalla corruzione endemica e dai legami con Mosca, Pashinyan ha cercato di dare inizio a un processo che guardasse anche a Ovest. Chiaramente, il Cremlino non è rimasto entusiasta di questi tentativi. Allo scoppio del conflitto, la Russia ha fatto sapere che il Ctso non era attivabile al momento, visto che i combattimenti non avvenivano in territori de iure armeni. L’accusa nei confronti di Mosca è di essere intervenuta troppo tardi, permettendo agli azeri di compiere importanti conquiste territoriali e imporre un cessate il fuoco solo al momento ritenuto più opportuno per i propri interessi. Il fatto che sia Aliyev che Pashinyan abbiano accettato che siano le truppe del Cremlino a gestire le operazioni di peacekeeping è un segnale importante, dal momento che era dal 1992 che i soldati di Mosca non stazionavano in Azerbaigian. Va inoltre sottolineato come la Russia abbia sempre cercato di mantenere un ruolo super partes, mantenendo un certo equilibrio tra i due contendenti e intrattenendo ottimi rapporti commerciali non solo con Erevan, ma anche con Baku, a cui ha fornito circa il 30% degli armamenti che compongono il suo arsenale.