La diplomazia di Dio

Articolo pubblicato su Dissipatio

“Diversamente da quanto successo in altri paesi, i nunzi di Siria e Iraq in questi anni non hanno mai lasciato la loro postazione”, ci racconta in esclusiva Victor Gaetan.

Nei flussi piroclastici della politica mediorientale, in continua mutazione e sempre in divenire, la solo apparente schizofrenia regionale si nutre di una fonte di costante stabilità. Un potere che, sebbene geograficamente lontano, è intrinsecamente legato ai destini delle terre che spaziano dal Maghreb nordafricano al Levante mediorientale, per trasformarsi poi nei deserti della penisola arabica e nelle montagne iraniane. È l’influenza di Santa Romana Chiesa, attore, più di tutto, geopolitico, immortale, custode ultimo dell’arte della mediazione e del dialogo. Una rilevanza globale, garantita anche dalla capacità dei vari pontefici succedutisi al solco di Pietro di adattare l’agenda geopolitica di Roma all’evoluzione dei tempi.

Fondata su pilastri intangibili, la diplomazia vaticana basa la propria forza, tra le altre cose, sulla sua unicità di essere allo stesso tempo attore religioso e istituzionale. Le sue armi sono il simbolismo e i rituali senza tempo, l’imparzialità la sua dote più apprezzata. Con uno sguardo aperto sul mondo a 360 gradi, a indicare le priorità geopolitiche della bussola di Sua Santità, il suo nord magnetico, è il Medioriente, punto d’incontro delle tre grandi religioni monoteiste e dei rispettivi universi. Qui, per secoli, la Chiesa ha difeso i suoi interessi sui luoghi sacri della Terrasanta e le comunità dei Cristiani d’Oriente. Non è un caso che il primo viaggio apostolico dell’era post-pandemica, nel 2021, Papa Francesco abbia deciso di compierlo proprio in queste terre. Precisamente in Iraq, paese flagellato da più di quarant’anni di belligeranze quasi ininterrotte, teatro di persecuzioni etniche e religiose, tra le più violente quelle ai danni dei cristiani. Dalla piana di Ninive, nel profondo nord iracheno, Roma dista circa quattromila chilometri. Furono decine di migliaia i cristiani in quest’area che, nel 2015, dovettero fuggire davanti all’inesorabile avanzata delle milizie del sedicente califfo dello Stato islamico, Abu Bakr al-Baghdadi. A Baghdad, in una delle massime espressioni del simbolismo di cui si nutre l’arte diplomatica della Santa Sede, Bergoglio, in veste di penitente, ha chiesto perdono all’Iraq per le distruzioni e la crudeltà toccata in sorte al suo popolo.

Tradizione e innovazione dunque. Come nel 1965, quando al crepuscolo del Concilio Vaticano II, Papa Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Montini, fece approvare la «Dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane», più comunemente nota come Nostra Aetate. Si tratta della prima, storica, apertura del mondo cristiano al dialogo con le altre religioni. Un passo cruciale, il fondamento teologico per giustificare la creazione di una nuova agenda di politica estera, all’epoca cristallizzatasi attorno allo status giuridico di Gerusalemme. Nei decenni a seguire, forte di un carattere umanitario di natura universalistica, la nuova vocazione della diplomazia vaticana si fonda quindi sulla costruzione e ricerca del dialogo interreligioso. Centrale in questa operazione è la crescita esponenziale di movimenti ecumenici come i Focolari di Chiara Lubich, o realtà internazionali come la Comunità di Sant’Egidio, divenute in breve arterie principali nel panorama del potere della Chiesa del ventunesimo secolo. Un lavoro svolto sottotraccia, sempre lontano dai riflettori mediatici dei nostri tempi.

In God’s Diplomats: Pope Francis, Vatican Diplomacy, and America’s Armageddon, Victor Gaetan racconta a fondo le dinamiche e gli schemi che guidano l’ars diplomatica della Chiesa sotto Papa FrancescoCiviltà Cattolica ha definito il volume come il lavoro più approfondito che sia stato finora scritto sull’argomento. Dalle pagine del libro emergono i dettagli del funzionamento di quella che appare come una rete flessibile, costantemente al lavoro per gli obiettivi internazionali di Roma. I diplomatici di Sua Santità sono addestrati presso la Pontificia accademia ecclesiastica, la più antica scuola di diplomazia al mondo, risalente al 1701, a due passi dal Pantheon, in pieno centro a Roma. Ancora una volta, le coordinate geografiche dei palazzi del potere vaticani non devono trarre in inganno. Punto di arrivo di un lungo percorso cominciato con Nostra Aetate, passato dalla strenua opposizione di Giovanni Paolo II all’invasione irachena del 2003, la Chiesa di Francesco oggi fatica a inquadrare sé stessa da una prospettiva occidentale. Per Gaetan, il pontefice è frustrato, soprattutto con gli Stati Uniti e con l’eccessiva militarizzazione degli interessi a stelle e strisce nella regione mediorientale. Negli ultimi anni, Francesco non ha mancato certo di rimarcare l’incolmabile distanza, assumendo posizioni contrastanti rispetto a quelle dettate da Washington e dai suoi alleati, Oltretevere in primis.

Due gli esempi più significativi. Nella palude siriana, i leader delle comunità cristiane hanno visto in Bashar al-Assad il garante della loro sopravvivenza, scelta che Francesco ha sempre sostenuto e mai osteggiato. «Non a caso, diversamente da quanto successo in altri paesi, i nunzi di Siria e Iraq in questi anni non hanno mai lasciato la loro postazione», ci spiega in un’intervista rilasciata a Dissipatio Victor Gaetan. La strategia vaticana in Medioriente si articola su un unico, e allo stesso tempo doppio, livello. Agendo da garante per la sicurezza delle comunità locali e rafforzandone i legami con Roma, la Chiesa si accredita come mediatore ai massimi livelli, aprendo interessanti prospettive per il futuro. «L’incontro in Iraq dello scorso marzo – prosegue Gaetan – tra Francesco e l’ayatollah al-Sistani [guida spirituale del centro sciita di Najaf; NdA], ha esemplificato la convinzione del Papa che i leader religiosi debbano modellare il tipo di dialogo che i leader secolari ignorano».

A seguito dell’incontro, la cui portata è stata epocale, l’ufficio del leader religioso ha rilasciato una dichiarazione, in cui afferma «che i cittadini cristiani debbano vivere come tutti gli iracheni in pace e sicurezza, e con i loro pieni diritti costituzionali», sollecitando le autorità religiose a prendere posizione nella protezione dei cristiani iracheni. È la diplomazia religiosa, capace di arrivare dove i precari equilibri del sistema degli stati-nazione a volte non permettono. Il dogma dell’imparzialità vaticana si vede bene analizzando il rapporto con l’Iran degli ayatollah. «Nonostante l’isolamento di Teheran dall’Occidente, Roma ha mantenuto una relazione diplomatica ininterrotta con l’Iran dal 1954, accompagnatasi alla costruzione di un dialogo continuo con la leadership sciita. Papa Francesco – racconta Victor Gaetan a Dissipatio – ha poi sostenuto l’accordo nucleare del 2015 e ha incoraggiato i vescovi statunitensi a sostenerlo attivamente».

Politica e religione, interessi cristiani e di dimensione globale. Una porta aperta a tutti, in qualsiasi momento. È così che, mentre il Vaticano coltiva le relazioni con il mondo religioso sciita e quello politico iraniano, non manca di stringere rapporti con l’universo sunnita. Victor Gaetan ci spiega che:

«Francesco si è impegnato in prima persona per ricostruire ed espandere le relazioni con il grande imam della moschea cairota di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, figura di spicco del mondo sunnita. Il tutto è culminato con la storica visita di Papa Francesco e di al-Tayyeb ad Abu Dhabi nel 2019». Victor Gaetan

Alla presenza del potente leader emiratino Mohammed bin Zayed (MbZ), le due autorità religiose hanno firmato il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune. Una costante opera di tessitura dei rapporti che ha permesso al vescovo di Roma di diventare interlocutore privilegiato dei due principali mondi di riferimento in Medioriente. Nel quadro di un progressivo riallineamento degli equilibri regionali, testimoniato dalla ripresa del dialogo tra Iran e Arabia Saudita, la firma degli Accordi di Abramo e la ridefinizione degli interessi economici e strategici americani, il Vaticano si trova dunque nella privilegiata posizione di avere canali aperti con i principali attori in causa.

Da mediatore, Francesco è pronto a giocare un nuovo, e cruciale, ruolo. Un primo attestato del ruolo a cui può assurgere la Santa Sede è stato recentemente evidenziato dall’invito formale del re al-Khalifa del Bahrain al Papa per una visita di Stato a Manama e dintorni. È il segno che, nel momento in cui le parti dialogano, la presenza vaticana è più che benvenuta. Chiediamo dunque a Gaetan quali siano i movimenti all’orizzonte in Piazza San Pietro.

«Possiamo aspettarci che la Santa Sede continui ad aprire processi di dialogo e di incontro con tutti gli attori in causa. Ancora una volta, la risorsa numero uno della Santa Sede, elemento che tutti le riconoscono e per questo viene rispettata, è la sua imparzialità. Non ha interessi egoistici, di tipo economico, militare o commerciale ed è notoriamente discreta e affidabile. Il Medioriente si sta trasformando: nuovi giocatori, nuove regole. La Santa Sede si impegnerà per gli stessi obiettivi: preservare la pace e creare uno spazio vitale per i cristiani di quelle terre». Victor Gaetan

Il tutto sempre a bassa voce, dietro le quinte.

Milanese, nato nel 1998. Appassionato di politica e Medio-Oriente, studio alla St Andrews University nel Regno Unito le dinamiche geopolitiche mediorientali, caucasiche e dell'Asia centrale. Il primo libro che mi hanno regalato a cinque anni era una raccolta delle bandiere del mondo e, dopo averle imparate tutte, ho capito che per essere felice ho bisogno di esplorare. Nutro una passione sfrenata per le rivoluzioni e amo raccontarle.

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