Militari ucraini in azione nelle regioni contese

Tensioni nel Donbass: Russia e Ucraina spaventano la NATO

Articolo pubblicato per Orizzonti Politici

Le schermaglie verificatesi in Ucraina nel corso delle ultime due settimane riportano la Russia al centro delle tensioni internazionali. Come ampiamente descritto in un recente articolo, la politica estera di Mosca è incentrata sulla creazione di un cordone di sicurezza esterno tra sé e l’Europa, volto a impedire un eccessivo consolidamento dell’asse NATO nei territori adiacenti ai propri confini. Per il Cremlino, il mantenimento della propria sfera di influenza passa dal rafforzamento della presenza nelle “acque calde”, ovvero i bacini del Mar Nero e del Mediterraneo. All’interno di questo quadro, non solo è possibile comprendere le dinamiche che hanno portato all’annessione della Crimea nel 2014 e all’intervento in Siria nel 2015, ma anche l’attenzione che Putin pone nei confronti di territori russofoni a ridosso della frontiera della Federazione, le repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk nel Donbass ucraino.

Il nuovo capitolo del conflitto in Ucraina

Il conflitto nel Donbass, nell'est dell'Ucraina, dove le tensioni con la Russia preoccupano il mondo intero

Il conflitto nel Donbass, nell’est dell’Ucraina. In Rosso le zone sotto il controllo delle repubbliche filorusse di Donetsk e Lugansk; in Blu le città nelle mani di Kiev [crediti foto: Wikimedia CommonsCC BY-SA 4.0]

Nelle ultime settimane a tornare incandescente è stato proprio il conflitto “congelato” nell’Ucraina orientale. Le tensioni tra Kiev e le regioni filorusse e separatiste di Donetsk e Lugansk si sono inasprite a partire dall’inizio del nuovo anno, in concomitanza con l’arrivo alla Casa Bianca di Joe Biden. Da gennaio si contano quasi 30 morti lungo la linea del fronte, che vanno ad aggiungersi ai 14 mila dall’inizio del conflitto nel 2014. Da allora, le enclavi del Donbass, regione orientale confinante con la Russia e a maggioranza russofona, sono in guerra con il governo centrale. Il Protocollo di Minsk, firmato nel settembre 2014, rimane ad oggi l’unico accordo per un cessate il fuoco nella regione, nonostante sia stato più volte violato da entrambe le parti.

 

Il Presidente ucraino Zelenskij ha chiesto a gran voce che Washington e i suoi alleati forniscano a Kiev maggiore assistenza militare e finanziaria. Inoltre, chiede che si proceda rapidamente all’ingresso dell’Ucraina nella NATO, evento che, nel caso si realizzasse, porterebbe la tensione con Mosca alle stelle. Nelle ultime settimane, la Russia ha dispiegando quasi 80 mila soldati al confine con l’Ucraina, giustificando i movimenti come parte di un’esercitazione. Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno annunciato di essere pronti a spostare due portaerei nel Mar Nero per monitorare la situazione. Uno scenario da Guerra Fredda, aperto a qualsiasi soluzione.

Una crisi che viene da lontano 

La questione ucraina è scoppiata nel 2014, quando le proteste popolari di Euromaidan a Kiev portarono alla fuga del presidente Viktor Yanukovich, riparato in Russia. L’origine delle proteste va ricercata nella decisione del presidente di non siglare un accordo commerciale con l’UE, che avrebbe avvicinato Kiev al Mercato unico europeo. Yanukovich preferì rinforzare i legami con la Russia, a fronte di un accordo con Mosca che veniva considerato più vantaggioso. La fuga del Premier portò alla creazione di un governo ad interim, retto dall’allora portavoce del parlamento, Oleksandr Turchynov.

L’avvicendamento alla presidenza, con la creazione di un governo su posizioni chiaramente filo-europee e filo-occidentali, portò le regioni russofone dell’est, tra cui la penisola di Crimea e parti degli Oblast di Donetsk e Lugansk, a dichiararsi indipendenti da Kiev. In quegli stessi giorni, il parlamento ucraino proponeva di rendere l’ucraino unica lingua ufficiale dello Stato, togliendo alla lingua russa le qualifiche necessarie. Una mossa che non fece altro che peggiorare la situazione, creando i presupposti per cui la minoranza russa dell’est percepisse come ostile e discriminatorio il nuovo governo centrale. Il conflitto da allora non si è mai fermato. La Crimea è oggi parte integrante dello Stato russo, mentre le regioni del Donbass sono de facto indipendenti ma in una situazione di estrema precarietà dal punto di vista politico.

La centralità della crisi tra Ucraina e Russia

La crisi ucraina si è ben presto trasformata in un capitolo della guerra indiretta che vede frapporsi Stati Uniti e Russiasin dallo scioglimento dell’Urss. Da allora la NATO è riuscita a espandere sempre più verso est i propri confini, inglobando molti Paesi una volta parte del Patto di Varsavia. Gli eventi in Ucraina possono dunque essere letti all’interno di una chiara strategia da parte degli alleati occidentali. Il supporto alle manifestazioni di piazza, avvenuto in maniera più o meno diretta, è stato seguito dall’appoggio incondizionato al nuovo governo di Kiev, insediatosi dopo la fuga del presidente Yanukovich. Per la sua posizione strategica sul Mar Nero, alle porte della Russia meridionale, l’inclusione di Kiev nella NATO rappresenterebbe un passo di fondamentale importanza nel tentativo di contenere l’influenza russa nel Mediterraneo. Non è un caso che proprio in questi giorni, il presidente ucraino Zelenskij abbia ancora fatto pressione perché si formalizzi l’ingresso del suo Paese nell’Alleanza atlantica.

Dal canto suo, la Russia ha sempre giustificato l’annessione della Crimea e il supporto alle forze separatiste filorusse nel Donbass, come la diretta conseguenza a quello che il Cremlino definisce “il golpe americano” del 2014. La sostituzione di Yanukovich, democraticamente eletto nel 2010, politicamente vicino a Mosca, è infatti stata analizzata come l’ennesimo tentativo di mettere in discussione il controllo russo della regione. Per la Russia, il dominio sulle coste delle “acque calde” del Mar Nero rappresenta una questione di sicurezza nazionale.

Nel frattempo, la Turchia ha autorizzato il passaggio nello stretto del Bosforo a due navi militari americane dirette verso il Mar Nero, destando il disappunto di Mosca che, proprio lo scorso 13 aprile, avrebbe reagito ammonendo gli Stati Uniti di mantenere le imbarcazioni lontane dalle coste della Crimea.

Il nuovo corso dell’amministrazione USA 

L’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca ha portato a un notevole irrigidimento dei rapporti tra Washington e Mosca. Al momento, i dossier caldi sono sostanzialmente due: il gasdotto Nord Stream 2 e l’integrità territoriale ucraina. Il neo-presidente americano ha dimostrato a più riprese di aver particolarmente a cuore gli eventi in quello che una volta veniva definito “il granaio dell’Urss”. Come vice di Obama infatti, Biden ha ricoperto un ruolo chiave nella gestione dei rapporti con Kiev. È stato lo stesso Biden a chiedere, durante i mesi più caldi del 2014, di aumentare gli aiuti militari e provvedere a nuove forniture di missili che mettessero in difficoltà le truppe di Mosca, ormai presenti nel Paese su più fronti. L’assunzione, nell’aprile dello stesso anno, del figlio Hunter nel del CdA della Burisma, tra le più importanti compagnie ucraine per la produzione di idrocarburi, è un esempio di quanto fosse influente all’epoca il vicepresidente.

Ad oggi, per gli USA non è semplice formulare una risposta alle provocazioni russe senza intaccare gli interessi degli alleati europei. Un eventuale inasprimento delle sanzioni economiche nei confronti della Russia, inaugurate dopo l’annessione della Crimea, pare difficile, data la dipendenza dell’UE dalle forniture di gas del Cremlino. Tiene banco inoltre la questione del Nord Stream 2, il gasdotto che raddoppierà le forniture di gas russo direttamente alla Germania, attraversando il Mar Baltico. La contrarietà di Washington e di molti alleati NATO al progetto è sempre stata evidente, ma Berlino e Mosca hanno dimostrato di voler andare avanti su questa strada. Nel frattempo, Biden ha proposto un summit bilaterale a Putin, nel quale i due presidenti dovrebbero affrontare i vari dossier al centro delle discordie, primo su tutti l’Ucraina.

Una questione che rimane aperta

Il fronte del Donbass rimane dunque caldissimo. Negli ultimi giorni si è assistito a importanti movimenti di truppe, da una parte e dall’altra. Gli USA sono al momento in pressing sull’Europa, cercando di fare quadrato attorno a Kiev e non permettere che succeda come nel 2014, quando Mosca fu in grado di annettere la Crimea e favorire il distacco di Donetsk e Lugansk dal governo centrale. In questo senso, Biden auspica che gli alleati europei mandino a Putin il messaggio cheulteriori intromissioni nel territorio ucraino non saranno tollerate. Prova ne è stata il viaggio di ieri a Bruxelles del Segretario di Stato Antony Blinken e di quello della Difesa, Lloyd Austin. La sensazione è che la minima frizione possa trasformarsi in un conflitto a tutto campo tra Mosca e Kiev, nel quale rischiano di essere trascinati a forza anche gli alleati della NATO.

Milanese, nato nel 1998. Analista appassionato di politica e Medio-Oriente, ho studiato alla St Andrews University nel Regno Unito le dinamiche geopolitiche mediorientali, caucasiche e dell'Asia centrale. Il primo libro che mi hanno regalato a cinque anni era una raccolta delle bandiere del mondo e, dopo averle imparate tutte, ho capito che per essere felice ho bisogno di esplorare. Nutro una passione sfrenata per le rivoluzioni e amo raccontarle.

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