Corruzione e crisi economica, il Libano si ribella

Articolo pubblicato per Orizzonti Politici

Intervistiamo Youssef Khattar, uno studente libanese di giurisprudenza a Beirut. Cosa spinge migliaia di persone a scendere in piazza e protestare contro l’intera classe politica che da oltre trent’anni governa il Paese?

Da due mesi i manifestanti scendono in piazza. La crisi economica è diventata insostenibile e la corruzione è dilagante. Ad essere messa nel mirino è l’intera classe politica, dimenticando quindi le divisione settarie che da sempre dominano il Libano. Lo scorso weekend è stato festeggiato il sessantesimo giorno della rivoluzione, come chiamano il movimento i manifestanti. Nate come spontanee e pacifiche manifestazioni, con il passare dei giorni si è verificata un’escalation di violenza, visti gli attacchi di polizia e militari, ai cortei dei manifestanti. Alcuni scontri sono avvenuti anche tra manifestanti e sostenitori di Hezbollah, organizzazione paramilitare sciita.

La crisi economica, complice un debito pubblico alle stelle, e la corruzione hanno infiammato le proteste in Libano. Ma ad essere messo in discussione è anche l’intero sistema settario che governa le istituzioni. Vista la presenza in Libano di diversi gruppi religiosi, i padri fondatori, al momento dell’indipendenza dalla Francia nel 1943, disegnarono un complesso sistema di divisione delle cariche e dei ruoli istituzionali. La spartizione è basata esclusivamente sull’appartenenza a partiti politici rappresentanti le varie confessioni religiose, siano essi sunniti, sciiti o cristiani. Questo sistema ha portato alla creazione di una società altamente frammentata e a vari conflitti settari, oltre che al dilagare di varie forme di clientelismo.

Andamento del debito pubblico del Libano. Fonte: www.tradingeconomics.com

L’intervista

Youssef, raccontaci quali sono le richieste che fate al governo scendendo in piazza ogni giorno da più di due mesi.

Le richieste dei manifestanti sono sostanzialmente tre. La prima, che è già stata ottenuta, erano le dimissioni del governo. Dopo tredici giorni dall’inizio delle manifestazioni, il 29 ottobre, il Primo Ministro Hariri ha infatti consegnato le sue dimissioni. Detto ciò, questa azione non è stata seguita dalla creazione di un nuovo governo. Noi manifestanti chiediamo che il nuovo governo sia formato esclusivamente da tecnocrati. A causa della dilagante corruzione che attanaglia il Paese, la sfiducia verso l’attuale classe politica è infatti totale. Gli unici attori in grado, a mio avviso, di salvare il Libano non possono che essere personaggi esterni al mondo partitico dotati delle competenze necessarie. La loro indipendenza e non affiliazione agli attuali partiti è un elemento fondamentale su cui non cederemo.

Chiediamo inoltre che venga sciolto il parlamento e che si proceda ad elezioni anticipate. C’è la necessità inoltre di una nuova legge elettorale che porti a un ripensamento totale dell’ordine istituzionale dello Stato. L’attuale sistema settario, infatti, si basa sulla partizione e divisione di cariche tra i vari esponenti dei gruppi religiosi. Le cariche istituzionali sono affidate per legge ai rappresentanti di un certo credo; la figura di Presidente è ricoperta da un cristiano maronita, quella di Primo Ministro spetta ai sunniti e infine il Presidente del Parlamento deve essere sciita. Nonostante garantisca un equilibrio nella rappresentanza, è oramai conclamato come tale sistema sia inefficiente e dannoso per il benessere della popolazione. Il settarismo in Libano ha favorito la crescita di un’economia clientelare volta a favorire esclusivamente la classe politica.

Infine, la terza richiesta mossa dai manifestanti è che la magistratura faccia finalmente luce sui svariati casi di corruzione e clientelismo che legano la classe politica con il mondo dell’economia, con la possibilità di perseguire penalmente i responsabili che hanno portato all’impoverimento del nostro Paese.

Qual è la situazione in Libano, sia da un punto di vista economico che per quanto riguarda l’estensione di diritti sociali?

Il Libano è da molti considerato un’oasi di democrazia all’interno della regione. La libertà di parola e di costumi sono garantite e Beirut è una città estremamente viva dal punto di vista culturale ed accademico.

Per quanto riguarda l’economia, abbiamo spiegato come trent’anni di clientelismo e corruzione abbiamo gettato il Libano in una crisi drammatica. I dati del Fondo Monetario Internazionale (FMI) mostrano come nel 2018 il debito pubblico fosse il 151% del PIL.

La gestione del Paese, nei suoi servizi più essenziali, è stata una delle ragioni che hanno incendiato gli animi. La raccolta dei rifiuti o la provvigione dell’elettricità non funzionano da anni, nonostante ad ogni elezione ci venga promesso che saranno i primi problemi ad essere risolti. La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata la proposta di una tassa sull’uso di WhatsApp, in uno Stato in cui la connessione Wi-Fi e il costo delle telecomunicazioni in generale è tra i più alti della regione.

Per la prima volta i cittadini manifestano senza far caso all’appartenenza religiosa, con un senso di unità che mai prima d’ora si era manifestato. Cosa è cambiato?

Gli effetti del settarismo hanno una forte influenza sulla vita di tutti i giorni. Una società divisa in base all’appartenenza a un credo religioso è molto facile da manipolare. L’istruzione e la giustizia ad esempio sono nelle mani delle varie istituzioni religiose, motivo per cui non esiste una vera uguaglianza sociale in Libano.

Per anni i partiti sono stati in grado di strumentalizzare e sfruttare i vari contrasti tra i gruppi religiosi che abitano il Libano, complici le due guerre civili e le occupazioni straniere del nostro territorio. È stata proprio l’occupazione israeliana dagli anni ‘80 di alcuni territori a ridosso della frontiera meridionale a permettere ad Hezbollah, un gruppo sciita armato e finanziato dall’Iran, di emergere e guadagnare consensi.

Quest’ondata di proteste mostra invece come la gente abbia finalmente capito che i partiti politici, senza alcuna differenza di appartenenza religiosa, abbiano per anni lucrato sulla pelle dei cittadini. L’assenza di una vera competizione elettorale (dovuta alla predefinita spartizione di seggi e cariche politiche) ha permesso alle famiglie che guidano il Paese di portare avanti in maniera endemica opere di corruzione e ruberie.

Un’immagine delle proteste degli ultimi giorni. Foto di Patrick Baz

Parliamo di Hezbollah, un gruppo armato e partito politico considerato terrorista dagli Stati Uniti. Quanto influenza la vita politica questo movimento finanziato dall’Iran?

Hezbollah è il braccio armato dell’Iran nel Mediterraneo. Il gruppo è nato in opposizione all’occupazione israeliana dei territori meridionali del Paese dopo il 1982 e ha continuato a combattere fino alla liberazione avvenuta nel 2000. Grazie a una forte propaganda e ai legami che lo uniscono con Teheran, Hezbollah è riuscito a imporsi nel panorama politico sciita e, di riflesso, in tutto il Libano.

Il suo arsenale, costantemente foraggiato dall’Ayatollah Khamenei, è oramai in grado di competere con quello dell’esercito nazionale, tant’è che dal 2013 Hezbollah ha ufficialmente iniziato a combattere al fianco di Assad in Siria.

L’alleanza tra Teheran, Damasco e Hezbollah è vitale per ognuno dei tre attori. Hezbollah necessita infatti che il corridoio geografico che unisce il Libano all’Iran, ovvero il sud della Siria, resti controllato da un fedele alleato.

Il legame che unisce Hezbollah alla Siria è però quanto di più dannoso esista sia per l’economia che per la stabilità del nostro Stato. Quello che il nostro Paese dovrebbe cercare di fare invece sarebbe il tentativo di stabilire relazioni economiche e commerciali con Israele. L’ostinazione a non voler considerare l’idea di firmare un trattato di pace con i nostri vicini può anche essere comprensibile da un punto di vista politico, visti i numerosi conflitti tra i due paesi; in un momento di crisi come questo tuttavia gioverebbe non poco all’economia libanese la possibilità di entrare in contatto con il mercato israeliano. Hezbollah e il suo fanatismo si oppongono però a ogni tipo di soluzione che includa il dialogo con Tel-Aviv. In questo modo il Libano è però costretto a restare ancorato alla Siria, in cui è in corso una guerra civile, e all’Iran, vittima delle sanzioni internazionali.

Come si è schierato Hezbollah nei confronti dei manifestanti e delle loro rivendicazioni?

Quasi tutti i partiti politici, sia sunniti che cristiani, hanno dichiarato di essere disposti a votare la fiducia a un governo tecnico non partecipandovi, così come richiesto dai manifestanti. Hezbollah e Amal, i due maggiori partiti sciiti, rimangono invece della posizione che nel prossimo governo non debbano esserci solo tecnocrati, ma anche figure politiche. A creare tensioni è anche il ruolo che l’ex Primo Ministro, Hariri, debba avere nel prossimo esecutivo, visto che i partiti cristiani sembrano essersi decisi ad opporsi a un governo da lui presieduto.

I vari atteggiamenti di intransigenza non hanno fatto altro che rallentare il processo di consultazioni per la creazione di un nuovo governo, creando una fase di stallo istituzionale. Le banche hanno limitato i massimali di prelievo e fermato l’erogazione di mutui. Oltre a questo, da qualche settimana a questa parte siamo soliti assistere allo spettacolo di sostenitori dei due partiti che attaccano i cortei pacifici, permettendo alla polizia di intervenire con una violenza totalmente ingiustificata.

Il messaggio che vogliamo dare al governo è che la nostra pazienza è finita, che il tentativo di lucrare sull’appartenenza religiosa è destinato a terminare e che in generale l’inadeguatezza della classe politica non è più sopportabile.

Aggiornamento: ieri è stato nominato Primo Ministro Hassan Diab

Milanese, nato nel 1998. Analista appassionato di politica e Medio-Oriente, ho studiato alla St Andrews University nel Regno Unito le dinamiche geopolitiche mediorientali, caucasiche e dell'Asia centrale. Il primo libro che mi hanno regalato a cinque anni era una raccolta delle bandiere del mondo e, dopo averle imparate tutte, ho capito che per essere felice ho bisogno di esplorare. Nutro una passione sfrenata per le rivoluzioni e amo raccontarle.

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